domenica 15 maggio 2011

Rolling Stone, "La posta del fegato"


Rolling Stone, "La posta del fegato", maggio 2011

Spero molto nelle lettere che mi invieranno (?) i lettori; perché io, ora, non so davvero che cosa dire. Potrei limitarmi a tradurre in scrittura il sentimento di rabbia (ah, il fegato) che mi suscitano le attuali condizioni del (mio; o non solo) mondo. Rabbia impotente, sempre sul punto di scivolare in quello che Nietzsche chiama il "nichilismo reattivo", e che distingue dal nichilismo attivo il quale distrugge solo in vista di costruire secondo un progetto di alternativa. Un tratto che Nietzsche evidenzia nel nichilismo reattivo come sua caratteristica dominante è lo spirito di vendetta. Io, per esempio, sento sempre più forte la tentazione di bestemmiare (ho persino pensato a una macchina per bestemmiare automaticamente, una sorta di mulino di preghiera orientato in senso opposto). Un vecchio amico ora scomparso usava imprecare sempre con l'espressione "porco qui, porco là" – spiegando che Dio è dappertutto. Non so se considerare la mia tentazione (e spesso non solo) di bestemmiare come una manifestazione di estrema religiosità: prendersela con Dio come responsabile dei nostri guai è comunque un modo di affermare la sua esistenza. Quando bestemmio, però, io preferisco pensare che quel Dio contro cui mi scaglio è solo "il dio dei filosofi", il quale, checché ne pensino papi e teologi, non ha nulla a che fare con il Dio di Gesù, in cui continuo a credere di credere: sarà lui il creatore dell'universo materiale? Forse non possiamo attribuirgli tutta questa tragica responsabilità, con gli tsunami e anche le tante ingiustizie umane: la disciplina filosofico-teologica chiamata teodicea (giustificazione di dio) non ha prodotto che chiacchiere inverosimili, occasionando anche qualche capolavoro come il Candide di Voltaire.

Ma appunto: nichilismo reattivo, spirito di vendetta, tentazione di lasciarsi andare, anche bestemmiando, perché "non c'è niente da fare" (viene in mente il "soluzione non v'è" di un famoso e pensoso filosofo italo-veneziano) e dunque non fare niente, in una sorta di mistica negativa molto estetizzante. E poi, anche decidere che non c'è niente da fare richiede un qualche argomento che spieghi e giustifichi. Che potrebbe e dovrebbe essere il primo passo di un nichilismo attivo; magari solo l'atto di "rovesciare" i tavoli. Il timore che alla fine questo ci si rivolti contro, che, per esempio, se abbandoniamo il Parlamento per una scelta aventiniana alla fine la maggioranza, sia pur precaria e bancaria, finisca per avvantaggiarsi – è ancora una paura che certo Nietzsche, ma nemmeno Di Pietro e Rosy Bindi, approverebbe.

Leggo sul Forum di Libération del 4 aprile una bella pagina sul tema della disobbedienza civile. Almeno, è quella su cui mi fermo, anche perché nei giornali italiani dello stesso giorno non c'è altro, di memorabile che un paio di vignette: Giannelli (Corriere della Sera) con la didascalia: Berlusconi va a Tunisi, i tunisini vengono a Lampedusa: uno scambio?" (si intende, vantaggioso, come quando alla vigilia della guerra contro l'Iraq cantavamo: proponiamo uno scambio a eque condizioni: dateci Saddam, vi diamo Berlusconi); e Altan, (Repubblica), con il personaggio-nasone usuale del vignettista che di fronte al cavalier Banana dice: se non si volta Lei, mi volto io. Per il resto, nei giornali italiani questi giorni, sempre la stesa retorica ipocrita e il relativo sentimento di impotenza: i tunisini li accogliamo se sono veri rifugiati e non clandestini e cioè (Formigoni) se si prova che tornando a casa loro rischiano la morte (non dico una qualche piccola tortura, per esempio); e: il processo Ruby comincerà davvero solo (tempi tecnici) a fine maggio, tra discussione su conflitto di attribuzione, legittimi impedimenti cavaliereschi, ecc.); in Libia ci sono anche i nostri costosissimi Tornado, che però sono là solo per motivi umanitari, per difendere i "civili". E fra poco, anzi, avendo noi riconosciuto come unico governo legittimo il Consiglio di transizione di Bengasi (e cioè, il gruppo che si è intestato il merito della "rivoluzione", ampiamente aiutato, e forse più, con un anticipo di vari mesi, dai servizi , niente affatto segreti, francesi) gli forniremo anche armi e magari "consiglieri militari" (cosi si chiamavano, salvo errori di memoria, le truppe americane all'inizio della guerra del Vietnam)... Davanti al misto di ipocrisia, retorica propagandistica, vera e propria disumanità leghista, non è strano che uno si fermi a riflettere sulla disobbedienza civile; o sulla disobbedienza in generale. Può darsi che alla generazione presente (sono presente anch'io, ancora) sia riservata la vocazione di "resistere, resistere, resistere", senza illusioni di prendere il potere ma solo con lo scopo di ostacolare la logica da "ponte del Titanic" in cui la voracità del capitalismo mondiale minaccia di travolgerci; travolgendo anche se stesso, d'accordo, ma è una magra consolazione.

Gianni Vattimo

Nessun commento: