martedì 28 settembre 2010

L’animale è “povero di mondo”, ma non per questo va torturato. Intervista a Gianni Vattimo



Basta affiancare il suo nome, su Google, alla voce ”Animali” per capire quanto questo tema sia, da tempo, un cavallo (appunto) di battaglia di Gianni Vattimo, uno dei filosofi italiani più noti al grande pubblico, allievo di Hans Georg Gadamer ed esperto del pensiero di Nietzsche e Heidegger, nonché, dal 1999, europarlamentare.
Lo abbiamo intervistato pochi giorni prima della discussione in aula, a Strasburgo, della controversa direttiva sul ricorso agli animali per gli esperimenti scientifici, approvata mercoledì dal Parlamento Europeo. Ecco, tra ironia, divagazioni e impegno politico il pensiero – non troppo debole – del professore sulla natura, l’ambiente e gli altri esseri viventi.
D) Professore, lei ha sempre avuto una passione per l’alpinismo. Heidegger era uno sciatore. Pensa che il filosofo sia in qualche modo “più vicino” alla natura e ne senta un richiamo più forte?
R) Teoricamente sì. Visto che la filosofia è sempre stata una ricerca sui fondamenti basilari dell’esperienza il rapporto con il mondo fisico sembra essere costitutivo. O almeno storicamente è stato così. Prima di Platone e Aristotele i filosofi erano chiamati fisici. Una certa dose di “sensibilità naturalistica” è dunque normale nella filosofia, anche se non vi è nulla di naturale in tutto ciò, ma si tratta di un accadimento storico.
D) Nel suo caso è nata prima l’attrazione verso il mondo esterno e la natura o la scintilla della riflessione filosofica?
R) Francamente non ricordo più! Ma qui c’è di mezzo la religione. Io ho iniziato ad andare all’oratorio e frequentare l’azione cattolica a 12 anni e negli ambienti cattolici si cercava di stancare l’adolescente perché non avesse troppe energie da dedicare all’impurità. Si faceva quindi molta retorica alpinistica, che però era anche una cosa piacevole e simpatica, un modo per stare insieme agli altri, legarsi in cordata con un compagno di scalata ecc. Io sono stato salvato non poche volte dal precipizio! Direi che la mia vocazione alpinistico-naturalistica è nata così: come interesse religioso per il bello del mondo.
D) Condivide l’idea che camminando – e anche scalando – si pensa meglio?
R) Sicuramente sì, devo dire però anche sciando. Credo ci sia comunque un rapporto tra il pensiero e i muscoli più elastici. Io a un certo punto ho smesso di fare l’alpinista e sono diventato un camminatore di sentieri di metà costa. In Engadina, nel paese della Montagna Incantata di Thomas Mann, ci sono dei sentieri bellissimi. Uno sale a 2000 metri e poi cammina tutto il giorno in quota, senza stancarsi troppo ma con grande piacere.
D) Da un lato l’attrazione dei filosofi verso la natura e il mondo esterno, dall’altro però Heidegger sosteneva che “l’animale è povero di mondo”…
R) Beh, mettersi in rapporto con la natura non significa necessariamente farne parte così organicamente come le piante e gli animali. Heidegger intendeva forse che per accedere alla natura ci vuole un certo distacco, se uno ne fa troppo parte non se ne accorge nemmeno.
D) C’è dunque un “grado di appartenenza” diverso dell’animale alla natura, rispetto all’uomo?
R) Noi tendiamo a pensare così, finché gli animali non ci rispondono, finché cioè non si riesce ad instaurare una comunicazione. Il mio gatto ieri mi ha fatto credere di non aver ancora cenato: andava su e giù vicino alla scodella, come se aspettasse di poter mangiare e ho poi scoperto che aveva già mangiato. C’è quindi sempre un certo grado di comunicazione, anche se non linguistica. Questo ci avvicina, ma ci impedisce di condividere pienamente il mondo con gli animali.
D) Lei però si è sempre detto contrario alla contrapposizione natura-cultura…
R) Nel senso che tutto quello che noi chiamiamo natura lo facciamo pur sempre attraverso termini culturali. Noi siamo viscere, corpo, calli, ma tutte queste cose le assimiliamo sempre attraverso la cultura, quindi la distinzione non regge tanto. Nemmeno un’isola corallina mai frequentata dall’uomo è puramente qualcosa di naturale, ma appena ne parliamo, è già dentro un nostro discorso.
D) Il suo ex-allievo Ferraris (Maurizio Ferraris, autore de Il Mondo Esterno, N.d.R.) non sarebbe d’accordo.
R) Lui è caduto nell’empirismo. Io non ho mai negato l’esistenza del mondo esterno, ma appena lo affermo non è più così esterno. Se fosse davvero “esterno” non potremmo saperne niente. La filosofia non può essere solo lo studio di “cosa c’è”. Nemmeno i filosofi greci si limitavano alle cose “che ci sono”, ma pensavano sempre a come modificarle e farne progetti.
D) Veniamo ad oggi. Qual è secondo lei il problema più urgente per l’ambiente?
R) E’ che il capitalismo sta esaurendo le risorse naturali. Noi siamo come a bordo del Titanic e continuiamo a ballare incuranti… Purtroppo ci sono forti interessi che frenano lo sviluppo di alternative. C’è una certa inerzia della società produttiva che non si riesce a rompere. Io non saprei se l’automobile ad idrogeno, per fare un esempio, non potesse essere possibile già 30 anni fa. Ho assistito qualche anno fa un amico malato di Aids e ho chiesto in ospedale perché non usassero i nuovi medicinali disponibili. Mi è stato risposto che avrebbero dovuto prima finire le vecchie scorte… Il problema dell’ambiente è il problema di questi meccanismi di potere.
D) Altri paesi però, come quelli nordeuropei, sono riusciti, almeno in parte, a tramutare i problemi ambientali in occasioni di business. Perché questo non riesce bene in Italia e si continuano a considerare gli investimenti nella sostenibilità dei costi invece che delle opportunità?
R) Sono abbastanza pessimista su questo. Mi auguro che si riesca a trasformare realmente i problemi dell’ambiente in business, ma ne dubito fortemente. Tuttavia non potendo fare altro è normale che si cerchi questa soluzione. Però facciamo attenzione: se la nostra industria automobilistica per espandersi vorrà vendere un’auto a ogni cinese tra qualche anno non si respirerà più! E’vero che nel frattempo si potrebbero scoprire nuove tecnologie, ma il problema è che si fa poca ricerca. Spendiamo più per la ricerca sulle pillole per l’obesità che contro la malaria.
D) Mi sembra di capire che lei è, in ogni caso, più vicino all’idea di Pallante della decrescita felice, non è vero?
R) Direi di sì, mi piace di più. Il PIL non è un indicatore adeguato. Se la Francia domani vendesse tutti i suoi musei il PIL salirebbe, ma allora? Che razza di indice è questo?
D) Nella prossima seduta del parlamento europeo (8 settembre) si voterà la nuova direttiva sull’utilizzo di animali nella sperimentazione scientifica. Cosa ne pensa?
R) E’uno scandalo mondiale, ci tengo che lei lo scriva sul suo magazine. E’tutta un’affermazione di principio – “gli animali non si possono maltrattare, ecc. ecc.” – ma poi ci sono una serie di clausole di salvaguardia: “salvo il caso in cui, non si possa fare diversamente o gli scienziati ritengano che ecc…”. Ad esempio, per quanto riguarda l’anestesia, si dice che c’è l’obbligo di sottoporre gli animali ad anestesia, per non farli soffrire, “salvo che questa non sia opportuna”! E’ terribile, significa tutto e nulla. Io ero al Parlamento Europeo due legislature fa e ci sono tornato ora, trovandomi questa cosa fatta. E temo che adesso, in seconda lettura passerà (com’è avvenuto, N.d.R.). Sto cercando di raccontare questa cosa a tutte le persone che conosco perché è uno scandalo. Che l’animale sia “povero di mondo” non significa che lo si possa torturare.
Andrea Gandiglio
Sulle reazioni, all’indomani della votazione della direttiva europea sugli esperimenti scientifici sugli animali, vedi anche: “Test sugli animali: si infiamma la polemica sulla normativa UE“, La Stampa, 9 settembre 2010

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