lunedì 10 maggio 2010

VATTIMO: CI MANCA IL PASOLINI CORSARO E PROFETICO

VATTIMO: CI MANCA IL PASOLINI CORSARO E PROFETICO
Il filosofo rimpiange «la forza profetica del poeta contro l’omologazione culturale». Cianchi e Donada hanno letto due dialoghi inediti degli anni friulani dell’intellettuale
lunedì 10 maggio 2010, Messaggero Veneto. Di Nicola Cossar

Ci sono domande che spesso non trovano risposta. Una su tutte: perché oggi non c’è un Pasolini? E questa ne chiama altre: il suo senso profetico, tra dramma e ossessione, sarebbe lo stesso o risulterebbe invece inattuale? La sua diversità sarebbe sempre tale o cadrebbe vittima di un’omologazione strisciante, di una normalizzazione? Fra tanti punti di domanda, un po’ di certezze ne abbiamo: ci mancano la sua testimonianza civile e la visione profetica, non nel senso tragico (fino alla progettazione della propria morte, tesi molto cara all’amico del poeta, Giuseppe Zigaina), ma di quella straordinaria capacità – pienamente espressa negli Scritti corsari – di leggere i tempi e i loro segni, di prefigurare gli scenari venturi; ci mancano la sua passione e la sua assoluta non assimilabilità come uomo e come artista. Un’intelligenza libera e un’anima difficilmente sezionabili e divisibili tra pensiero, scrittura e cinema. Corsare, come si diceva. Pasolini e la sua esistenza forse sono un’opera d’arte, in tutte le sue sfumature cromatiche possibili: non ripetibile, soltanto da ammirare, specialmente quando è capace di dividerci, oggi come ieri, nel giudizio.
Inattualità di Pasolini è il titolo provocatorio che reca il primo numero 2010 di aut aut, la rivista diretta dal filosofo Pier Aldo Rovatti, dedicata all’estetica dei linguaggi pasoliniani, nei loro articolati percorsi espressivi, proponendo una bella serie di interventi dei partecipanti ad un corso tenuto dallo stesso professor Rovatti all’università di Trieste. Una selezione di questi esiti è stata presentata ieri, alla Feltrinelli, da Rovatti, direttore del traffico di idee (ortodosse ed eretiche), con guest star l’amico Gianni Vattimo.
L’incontro – in una sala gremitissima – è stato aperto con due pagine inedite friulane che Pier Paolo scrisse nei 1942 (Dialogo tra un maniscalco e la sera) e nel 1945 (Dialogo tra una vecchia e l’alba), ben interpretate da Gianni Cianchi e Chiara Donada. Vattimo, confessando di commuoversi puntualmente di fronte alle pagine in marilenghe ma di non riuscire ancora oggi a leggere Le ceneri di Gramsci, ha voluto precisare che la sua lettura dell’opera pasoliniana non è completa: «In me che dovrei avere particolare simpatia per lui a causa della sua diversità, c’è invece sempre stato qualcosa di irrisolto che non so spiegarmi». Senza dare giudizi categorici, ma in qualche modo esprimendoli, il filosofo torinese ha salvato l’attualità di un Pasolini corsaro e polemista, visionario e non omologato. «Forse non andrebbe ai gay pride né avrebbe mai aderito ai movimenti di liberazione gli omosessuali» ha chiosato Vattimo, che ha aggiunto: «Salvo l’intellettuale esemplare, non lo ritengo un artista classico. L’inattualità sta forse in romanzi che oggi non riesco più a leggere perché certe cose sono cambiate (ma la romanità linguistica di Gadda è molto superiore); i film li ho visti (amo Le mille e una notte), però certe tensioni drammatiche e profetiche oggi mi lasciano perplesso: il percorso stilistico di Fellini mi pare più coerente e lineare. Diciamo allora che il maggior interesse del lascito di Pasolini è costituito dalle tematiche affrontate, non nel modo, non nei linguaggi (scrittura e immagine) con cui li ha presentati».
Però Vattimo continua a commuoversi di fronte all’aspetto friulano. Perché? «Perché era poeticamente più convenzionale, più vicino a percorsi classici: mi viene in mente Pascoli». Dai contributi degli autori del numero di aut aut sono emersi altri aspetti dell’opera pasoliniana. La scelta poetica – si è detto – è legata a precisi dichiarati riferimenti provenzali e a quell’usignolo in cui Pier Paolo in qualche modo si incarna: è un essere che ha nostalgia della vita, che avverte un forte senso di esclusione, che però non toglie amore per la vita stessa, anzi lo accresce. Gioia e dolore sono sempre presenti, due toni intrecciati e sovrapposti, specialmente nei film, che sono «lingua scritta della realtà», ma anche nella nobile figura dell’intellettuale capace di dire no alle lusinghe del mondo che critica (se fosse qui oggi, andrebbe in tv?), ma che che nutre comunque la speranza dire sì alla vita.

Nessun commento: